Progetto controllo del rischio fiscale

In vista dell’abbassamento della soglia di ricavi per l’accesso al regime di cooperative compliance, previsto a 100 milioni di euro a partire dal 2028, un’importante opportunità – anche in chiave preparatoria – per le PMI è offerta dalla disciplina ad esse riservata sul tax control framework (TCF) di cui all’art. 7-bis D.lgs. n. 128/2015, introdotta dal D.lgs. 221/2023 (in vigore dal 18 gennaio 2024) e modificata dall’art. 1 D.lgs. n. 108/2024 (a decorrere dal 6 agosto 2024).

Tale regime consente ai contribuenti non ammessi al regime di adempimento collaborativo (art. 7) e dunque alle imprese di minori dimensioni, di optare per l’adozione spontanea di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, dandone apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate.

Questa opzione, che ha effetto dal periodo d’imposta in cui è esercitata, ha una durata di due anni ed è tacitamente rinnovata per altri due, rappresenta un’opportunità strategica per migliorare la gestione aziendale, perseguendo l’obiettivo di consolidare la trasparenza e la sicurezza fiscale delle aziende.

L’adesione volontaria al sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale consente alle imprese di godere di importanti benefici, prevedendo la non punibilità per il reato di infedele dichiarazione e mitigando considerevolmente la misura delle sanzioni amministrative.

Alternativa:

L’adesione volontaria al sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale consente alle imprese di godere di importanti benefici, tra cui la riduzione delle sanzioni amministrative, che vengono ridotte a 1/3 del minimo edittale per i rischi fiscali preventivamente comunicati tramite interpello ai sensi dell’art. 11 della L. n. 212/2000, prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali o del decorso delle relative scadenze. Inoltre, la non punibilità per il reato di infedele dichiarazione (art. 4 D.lgs. n. 74/2000) è garantita, a condizione che il contribuente – sempre mediante istanza di interpello – rappresenti preventivamente e in modo circostanziato il caso concreto all’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, l’adozione di un sistema come il TCF non può essere improvvisata. È necessario intraprendere un percorso articolato, che parte dalla mappatura dei rischi fiscali attuali e prospettici, tenendo conto delle specificità aziendali e delle possibili evoluzioni, come ad esempio piani di internazionalizzazione.

Un altro passaggio fondamentale è la verifica dei presidi già in essere, come la parte del Modello 231 sui reati fiscali, per assicurarne la relativa adeguatezza rispetto alla disciplina del TCF. Questo permette di evitare duplicazioni e di sviluppare un modello integrato che, oltre a garantire la conformità normativa, non gravi inutilmente sull’operatività quotidiana dell’impresa.

In aggiunta, è essenziale gestire il regime degli interpelli con l’Agenzia delle Entrate, che la normativa richiede siano attivati per poter usufruire dei relativi benefici.

Ma non basta progettare il sistema: occorre anche monitorarne l’effettiva attuazione nel tempo, adattandolo alle novità normative e alle evoluzioni della prassi.

Questo continuo aggiornamento è fondamentale per mantenere elevati standard di compliance fiscale e prepararsi in modo strategico all’eventuale accesso al regime di cooperative compliance negli anni a venire.

In questo senso, l’adozione del TCF rappresenta non solo un’opportunità immediata per migliorare la gestione fiscale, ma anche un investimento a lungo termine, che potrà agevolare l’azienda nel percorso verso una maggiore trasparenza e collaborazione con l’Amministrazione finanziaria.

Si tratta, dunque, di un primo passo decisivo per costruire una solida base di conformità, che non solo protegge l’impresa dai rischi, ma le consente anche di cogliere nuove opportunità in un panorama fiscale sempre più complesso e orientato alla cooperazione.

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